Oliveti di dolce di Rossano dell’azienda Figoli, nelle campagne di Rossano Calabro (Cs) – foto MaxRella

Produttori di cibo tipico, di qualità, sano e sostenibile tra le colline della costa Jonica Calabrese. In Inghilterra li chiamerebbero Food Heroes, sorta di “eroi” della buona tavola, etichetta senz’altro meritata, se non altro per l’isolamento geografico e il contesto di cattivi servizi turistici, viabilità e gestione ambientale in cui operano. È anche merito di questi agricoltori e produttori se il bel paesaggio di collina, punteggiato da ulivi e vigne, ci offre suggestioni ben diverse dalle brutture che incontriamo sul litorale.

Gli esempi non mancano, lungo la Statale 106, la strada che collega Taranto a Reggio Calabria con un viaggio a tratti estenuante attraverso paesi spuntati senza regole tra gli Anni ’60 e ’90, file di edifici a volte abusivi, spesso abnormi, incompiuti, anche di cattivo gusto, se non proprio kitch. E tutto ciò a poche centinaia di metri – a volte qualche decina – da un mare splendido e dalle sfumature violacee.

Ma basta sorvolare con lo suardo verso l’interno per riscoprire una terra ancora viva, fertile, capace di grandi prodotti agroalimentari, e un paesaggio aspro, diverso a ogni curva, ricco di scorci suggestivi; i paesi antichi – la versione bella e preesistente alle marine – poggiati sui crinali delle prime colline che respirano la brezza dello Jonio.

TRA LE COLLINE DELL’EXTRAVERGINE DOLCE DI ROSSANO

La tappa iniziale di questo viaggio del gusto, da Corigliano Calabro (Cosenza) alle porte di Crotone, è con il mondo dell’olio extravergine d’oliva. Nella piana e sui versanti sotto il paese antico di Corigliano, formatosi attorno al Castello Ducale, tra gli Anni ’80 e ’90 l’oliveto si ridusse drasticamente a vantaggio delle coltivazioni di clementine. Oggi il risultato è che nella piana fino a Sibari si concentra il 70% della produzione nazionale di quest’agrume.

“Ormai la pianura è persa: rimane un 10% di territorio a oliveto – lancia l’allarme Giuseppe Geraci, produttore sia di olio sia di clementine – Se non la proteggiamo rischiamo di perdere la collina anche a causa dell’abbandono della cultivar dolce di Rossano, un olivo alto, dai piccoli frutti e dai costi di gestione alti. Una varietà – conclude Geraci – che in pianura è stata già sostituita da specie più produttive ed economiche”.

Un vicino produttore che, come Geraci, continua a valorizzare la “rossanese” è il 45enne Tommaso Figoli, proprietario del Frantoio Figoli. Il suo bellissimo oliveto è situato tra Rossano Scalo e Mirto Crosìa, confinante con un’altra struttura che presidia le bellezze del paesaggio: Le Colline del Gelso, agriturismo con ospitalità raffinata.
Il nome di Rossano, però, è già noto in Calabria per le chiese, per un preziosissimo codice miniato – il Codex Purpureus Rossanensis – e per una piccola gioia del palato che abbiamo conosciuto fin da bambini: la liqurizia Amarelli.

Il Codex è un evangelario greco miniato che contiene l’intero Vangelo di Matteo e buona parte del Vangelo di Marco. Se ne ignorano gli autori e si è incerti anche sulla datatazione, tra il IV e VII secolo d.C. Dal confronto con altri manufatti coevi si evince che fu realizzato in Siria, arrivato probabilmente a Rossano con l’ondata migratoria dei monaci greco-orientali del VII secolo.

SASSOLINI DI LIQUIRIZIA

Invece quella della liquirizia è un’altra storia. Non possiamo annoverarla tra i piccoli produttori, ma l’azienda Amarelli, fondata nel 1731, è l’ultima superstite delle 80 fabbriche di liquirizia che nell’800 popolavano la costa calabrese. Un frammento di storia che possiamo ripercorrere con una visita al Museo Amarelli tra mitici e saporiti Sassolini, poster e macchinari vecchi e nuovi. La raccolta celebra la nascita e l’evoluzione della liquirizia attraverso una famiglia d’imprenditori presente sul territorio dall’anno Mille.

Storiche confezioni di liquirizia nel Museo della Liquirizia Amarelli, a Rossano (Cs) – foto MaxRella

Il nostro itinerario lungo la Statale 106 ci conduce in un altro paese anonimo alla vista, ma ricco di sapore al palato: Crucoli Torretta, la Città della Sardella, una specialità a base di alici e sardine neonate impastate in una crema rossa di peperoncino. La possiamo spalmare su crostini, usarla per condire gli spaghetti, oppure con uova strapazzate e in tanti modi. Rossa come il peperoncino, dolce o piccante, con cui è impastato l’ingrediente principale: la sardina pilchardus dello Jonio. Il procedimento della versione “cremosa” è lungo: 7 mesi di pressatura del pesce, poi passato al setaccio, ridotto manualmente in poltiglia e sciolto in salamoia. Per finire viene speziato con tanto peperoncino rosso macinato e un po’ di finocchietto selvatico, in porzioni “segrete”. La versione piccante è da usare con “parsimonia”.

CIRÒ, LA CITTÀ DEL VINO

Ancora pochi km di strada e arriviamo nel paese – Cirò – del vino più noto in Calabria: il Cirò Classico. Il principale protagonista della Doc si chiama Nicodemo Librandi, un produttore che si è a lungo prodigato in un ricerca sui vitigni antichi e autoctoni calabresi, da lui coltivati in 7 diversi campi sperimentali. Da quel lontano 1993, anno in cui Librandi cominciò a sperimentare, la zona di Cirò è migliorata anche con il ricambio generazionale. Ne sono la testimonianza i due giovani fratelli Vincenzo e Gianluca Ippolito, oggi alla guida della storica cantina di famiglia, la Ippolito 1845, altro marchio di qualità.

I fratelli Vincenzo (sx) e Gianluca Ippolito, proprietari della cantina Ippolito 1845, tra le vigne di Cirò – foto MaxRella

Vicino a Cirò, a Strongoli Marina (Crotone) troviamo invece uno dei personaggi più visionari del territorio, Roberto Ceraudo, produttore di vino e olio extravergine biologico, di agrumi e clementine, e ideatore di un ristorante di cucina calabrese contemporanea, il Dattilo, un locale stellato oggi guidato dalla giovane figlia Caterina Ceraudo, nel 2017 eletta Donna Chef dalla guida Michelin.

L’azienda Ceraudo è una realtà agricola biologica di qualità, alimentata da impianti fotovoltaici, con alcune camere agrituristiche. Rappresenta un “faro” di ospitalità in un territorio modesto per servizi e accoglienza turistica.

La chef Caterina Ceraudo con i prodotti dell’orto. ristorante Dattilo, a Strongoli Marina (Crotone) – foto MaxRella

DAL PERCORINO CROTONESE AI SALUMI E ALLA ‘NDUJA

A dieci minuti di strada arriviamo infine in due altre aziende da segnare in agenda. Nell’agro di Strongoli, storico paese abbarbicato in cima a un’aspra collina, è da non perdere Masseria De Tursi, di Giuseppe De Tursi, un caseificio biologico con allevamento allo stato brado e produzione di Pecorino Crotonese e ricotta stagionata. Profumi e sapori? Erbacei, complessi, intensi e persistenti.

Stagionatura del Pecorino Crotonese alla Masseria De Tursi, di Strongoli (Kr) – foto MaxRella

L’azienda biologica certificata si trova all’interno dell’area del Sic Le Murge, di interesse archeologico, e pratica i vecchi metodi della pastorizia. Tra le novità la coltivazione del grano Senatore Cappelli per produrre una farina macinata a pietra.

Dopo questa prima sosta golosa proseguiamo in direzione di Casabona, un altro paese storico in cima a una collina. Qui il norcino Camillo Palmieri e la moglie Alessandra producono ottimi salumi e insaccati, fatti in modo tradizionale senza coloranti né additivi. Usando solo le carni del loro allevamento di suini nero Calabrese, cinta Senese e incroci di Landrace Largewhite, ben alimentati e curati. Escluso il sale, tutto il resto è locale: il peperoncino rosso di un’azienda di Casabona e il finocchietto selvatico. E così tra capicolli, ‘nduja, soppressate e pancette della casa sprofondiamo nei sapori di questa Calabria ancora autentica. E pazienza se la Statale 106 è un po’ bruttina.

Lavorazione di pancette e capicolli nella norcineria artigianale Santa Barbara, a Casabona (Kr) – foto MaxRella

Testo e foto di Massimiliano Rella